– Ma lei scrive?
– Sì, certo, gli ordini nella pizzeria dove lavoro, faccio la cameriera.
– Ah, scriva, apra un blog, lo vede che ha già pubblico? Stasera lavora?
– No, mercoledì, no, sa… La crisi… Si lavora solo sabato e domenica.
– Si apra un blog. Le dico anche un titolo: resto-mancia!
Questo è il casus belli; l’occasione era l’esame di storia della lingua e l’interlocutore il professore di linguistica italiana che era in commissione, al quale ho espresso il mio rammarico per non aver potuto inserire il suo esame nel piano di studi (secondo criteri di somme di CFU che traggono ispirazione dalla cabala). L’ansia da prestazione che mi coglie prima di ogni orale -ATTENZIONE: doppiosenso- mi ha portata a declamare un quasi-monologo sull’accoppiata vincente tra vocazione e lavoro facendo ridere i presenti, agitati almeno quanto me.
Il punto, quindi, è che la situazione tragica in cui versiamo all’Università, e la ancor più tragica situazione di chi offre e svolge lavori del settore terziario facciano in realtà assolutamente ridere. O almeno, io la vedo così.
Mi scuso con quel professore per non aver seguito il suggerimento del titolo, ma qualcuno mi ha preceduta.